L’Argentina si gioca la partita della vita.

Non  è quella di calcio, al Maracanà, contro la Germania.
Quella è una partita di calcio, e che vinca il migliore.
Si tratta di una partita politica, di geo-politica, fondamentale per l’Argentina e anche per l’Europa. Per non dire per il resto del mondo.
Alla partita di calcio saranno presenti le più alte cariche politiche di ben 15 nazioni, e accanto alla presidente brasiliana Dilma Rousseff e al presidente della FIFA Sepp Blatter, ci saranno, va da sè, Angela Merkel e Cristina Kirchner. E invece no.
La Kirchner non ci sarà. Ha dato forfait.
Ma come? Perchè non ci va?
Non la vogliono? Certo che no.
E’ stata definita persona non gradita? Assolutamente no.
Non è stata invitata? Neanche per idea.
E’ malata? No, sta benissimo.
In Argentina c’è una situazione di emergenza per cui non può abbandonare il paese? Neppure.
Se ne starà dunque, da sola, a Buenos Aires senza festeggiare? No, sarà in Brasile.
Dove?
A Brasilia.
A fare che?
Ad aspettare, per l’appunto, la partita della vita.
Sarebbe?
Quella che si gioca, domani sera, lunedì 14 luglio, alla stessa ora, nella suite presidenziale del Four Seasons Hotel, dove lei offre una cena privata -anche se tutta squisitamente politica- ad Angela Merkel e Vladimir Putin, 16 ore prima di aprire la riunione della confederazione degli stati aderenti al BRIIC, di cui la Kirchner sarà la presidente di turno.
Per chi non lo sapesse, BRIIC sta per Brasile-Russia-India-Indonesia-Cina. Una partita che riguarda anche noi, anzi, soprattutto l’Italia, nazione che -quella partita- l’ha già persa.
Ma agli italiani non è stato spiegato un bel nulla, come al solito.
Che cosa ha detto, la Kirchner per giustificare la sua assenza?
Ha scritto una lettera alla Rousseff e dopo averla formalmente ringraziata, ha detto: non potrò essere presente a questa bella manifestazione perché lunedì è il compleanno di mio nipote e io non posso mancare. Per me è fondamentale vivere la mia funzione di nonna.
Davvero una cosa curiosa.
Ha provato a farle cambiare idea l’uomo che l’ha salvata, un certo Vladimir Putin, accolto a Buenos Aires sabato mattina con tutti gli onori, al quale la Kirchner ha offerto sabato sera una cena di gala “a nome di tutta la nazione e del popolo argentino”. Si è arreso, ha detto che con quella donna non è facile trattare, soprattutto quando sostiene un punto di vista in cui lei crede fermamente: va rispettato il suo volere.
Ma forse è meglio fare un passo indietro e spiegare, in maniera molto sintetica, che cosa sta accadendo. 

Che cosa c’entrano Vladimir Putin e Angela Merkel con Cristina Kirchner.

Nel 1999, in Argentina c’era un governo di centro-destra, capeggiato da un certo Medem, grande sostenitore del neo-liberismo, fautore del rigore e dell’austerità, amico dei colossi finanziari anglo-americani, solerte esecutore dei diktat del Fondo Monetario Internazionale. 

Nell’estate di quell’anno era arrivato il responsabile del “desk Argentina”, un economista di punta del Fondo, certo Pier Carlo Padoan (l’attuale ministro dell’economia della Repubblica Italiana), il quale aveva imposto tutta una serie di manovre specifiche di carattere economico (che il governo argentino aveva sottoscritto in pieno senza protestare) tra cui l’obbligo di allacciare la moneta al dollaro come valore, di fatto rinunciando alla propria sovranità monetaria, l’obbligo di investire una quota percentuale del proprio pil in specifici fondi a carattere speculativo molto rischiosi, l’obbligo di praticare una politica di tagli lineari per rimettere il bilancio in pareggio che avevano distrutto l’economia locale, portato la disoccupazione dall’11% al 23% e distrutto l’istruzione, la sanità, i trasporti pubblici. 

In seguito all’applicazione delle manovre richieste dal sign. Padoan, l’Argentina -per fare cassa- aveva venduto tutti i gioielli nazionali, dal petrolio all’energia elettrica, dalla telefonia all’intero sistema di telecomunicazioni, dal controllo delle sementi alla gestione del turismo a grandi multinazionali di Usa, Gran Bretagna e Italia. 

In seguito a queste manovre, l’economia argentina era stata completamente distrutta e nel 2002 era andata in bancarotta dichiarando formalmente fallimento per la cifra di 118 miliardi di dollari. 

Per una economia il cui pil era intorno ai 200 miliardi, insostenibile.
Il paese andò a picco.

Diciotto mesi dopo la disoccupazione aveva raggiunto la punta del 58% e tra i giovani del 75%.

L’Argentina dichiarò che avrebbe pagato e chiese una dilazione.
Si aprì una trattativa internazionale gestita dal Tribunale dell’Aja, alla fine della quale si chiuse un accordo tale per cui si consentiva all’Argentina di pagare l’intera massa debitoria aumentata degli interessi composti entro e non oltre il 2014. 

Gli argentini accettarono, riservandosi -con specifica clausola- il diritto di poter legiferare, gestire, e organizzare la propria economia e la potenziale ripresa senza che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) mettesse bocca, fermo restando il pagamento della cifra di 14 miliardi di dollari all’anno per dieci anni, in 20 rate complessive.

Sia Menem che De La Rua, i due presidenti neo-liberisti che si alternarono tra il 2000 e il 2004 furono costretti a fuggire dal parlamento con l’elicottero, inseguiti dalla folla inferocita che lanciò lo slogan “que se vayan todos” (trad.: tutti a casa) mentre in Europa si raccontava che il populismo stava dilagando in Argentina. 

Nel 2005 vince le elezioni il partito peronista, gestito dall’ala sinistra dei Montoneros, il gruppo che aveva condotto la resistenza armata contro la dittatura militare agli inizi degli anni’80, capitanati da una sindacalista del meridione, Cristina Kirchner, moglie dell’avvocato Nelson Kirchner che diventa presidente nel 2004. 

Pier Carlo Padoan viene spostato dal desk Argentina al desk Grecia, di cui gestisce la pianificazione economica dal 2005 al 2011, anno in cui viene spostato al desk Portogallo dove rimane fino al 2012, anno in cui viene promosso alla carica di vice-presidente del Fondo Monetario Internazionale. 

Intanto, in Argentina, Kirchner assume il potere, cambia prospettiva economica e lancia un poderoso piano keynesiano di investimenti decennali. 

Il paese poco a poco comincia a riprendersi. L’Argentina comincia a pagare i suoi debiti con regolarità. Nel 2008 è lei, Cristina, a vincere le nuove elezioni con una maggioranza strabordante  (quasi il 70%) e assume il potere applicando immediatamente delle manovre economiche che si scontrano con la volontà del Fondo Monetario Internazionale. 

Ma la Kirchner si rifiuta anche di incontrarli. Vara nuove leggi che consentono la riappropriazione della moneta da parte del Banco Nacional; le azioni della banca vengono acquistate al 100% dal Ministero del Tesoro; lancia manovre protezionistiche per salvaguardare l’industria nazionale; istituisce il reddito universale di cittadinanza; impone il bilancio sociale nelle grandi città; fa varare una legge che impone la distinzione tra banche d’affari speculative e banche di credito e risparmio; vieta l’investimento in derivati speculativi finanziari a ogni cittadino della repubblica argentina; lancia la guerra contro la povertà e contro la criminalità organizzata. 

In 4 anni, dal 2009 al 2012, porta l’Argentina dal fallimento a un nuovo boom economico. Riduce la povertà dal 40% al 6%. Abbatte la disoccupazione portando gli indici dal 28% del 2008 al 5% del 2013. Fa aumentare la produzione industriale al ritmo del 15% annuo, per quattro anni di seguito il pil complessivo aumenta al ritmo del 7%; apre ai grandi investimenti internazionali e riesce a pagare l’intero debito sottoscritto nel 2003 con un anticipo di 40 mesi. 

Il 10 dicembre del 2012, la Kirchner a New York, nella sede del Fondo si fa fotografare con la gigantografia dell’ultimo assegno versato. Il paese è ormai lanciato, insieme all’inflazione che raggiunge il picco del 20%. Saldato il debito, alla fine di dicembre del 2012, arriva il Fondo e c’è lo scontro tra Cristina Kirchner e Christine Lagarde. 

La francese lancia l’allarme inflazione e impone misure immediate di austerità e rigore. La Kirchner le boccia ed espelle i membri del Fondo dal paese dichiarando: preferisco avere un’inflazione alle stelle ma sapere che governo un popolo felice con una qualità della vita molto più alta di un tempo, piuttosto che avere un’inflazione a zero ma essere totalmente depressi e infelici come i francesi e gli italiani che seguono pedissequamente i vostri orribili consigli da strozzini. 

A me non interessano i grafici, interessano le esistenze dei miei cittadini.

Avviene la rottura ufficiale.

Due mesi dopo arrivano le prime denunce internazionali. Prima dalla Gran Bretagna (vince l’Argentina), poi la Francia (vince l’Argentina) e infine nel 2013 da parte di un fondo privato statunitense che pretende il pagamento immediato della cifra di 1,5 miliardi di dollari pena la dichiarazione tecnica di default. 

La pratica viene affidata a Padoan, che aveva aperto il mercato argentino a questo fondo; il FMI trova una clausola legale per cui sposta il giudizio da l’Aja a New York, nella circoscrizione in cui ha sede il quartiere generale del fondo. 

Si arriva al giugno del 2014 e il giudice americano impone il pagamento immediato all’Argentina, la quale, nel frattempo, non può ottenere prestiti internazionali perché il FMI ha fatto il vuoto intorno al paese. 

Il 30 giugno 2014, lunedì, a pagina 8 del quotidiano la Repubblica, compare un’ intera pagina a pagamento, firmata “presidenza della nazione repubblica argentina”, dal titolo “comunicato ufficiale del governo argentino: l’Argentina paga i suoi debiti”. 

Su questa pagina si racconta l’intera vicenda e si invita la popolazione italiana a prendere atto della situazione internazionale, ad alzare il proprio livello di consapevolezza globale, dichiarando che l’Argentina pagherà grazie all’aiuto di nazioni amiche.

Questo comunicato è stato ripreso per intero dal sito online “Il Post” che così lo presenta: Oggi su diversi giornali europei, tra cui Repubblica in Italia, è stata pubblicata una pagina a pagamento della presidenza dell’Argentina. La pagina è intitolata: “L’Argentina vuole continuare a pagare il suo debito ma non glielo lasciano fare”.

Nel lungo comunicato si spiega la posizione del governo riguardo la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti sugli hedge funds statunitensi. La scorsa settimana, infatti, la Corte ha rifiutato l’appello del governo argentino e – confermando delle precedenti sentenze – ha deciso in via definitiva che alcuni possessori di titoli di stato argentini che non avevano accettato la ristrutturazione del debito successiva al default del 2001 (tradotto: alcuni creditori che non avevano accettato di ricevere solo una parte dei loro soldi) devono essere rimborsati al cento per cento: la cifra da pagare per l’Argentina corrisponde a 1,33 miliardi di dollari. Se l’Argentina non rimborserà questi fondi, non potrà nemmeno effettuare i pagamenti sul debito ristrutturato – quelli “ridotti” – che scadono il prossimo 30 giugno. 

Questo è un punto fondamentale: il giudice della Corte suprema ha infatti «ordinato alla Banca di New York e alle società di servizi di compensazione di non pagare». 

Chi è interessato lo trova nel link: 
http://www.ilpost.it/2014/06/24/il-comunicato-dellargentina-sulla-sentenza-usa/ 

Nella pagina si invita la popolazione e i media che volessero essere informati, a rivolgersi direttamente a Analia Rach, braccio destro della Kirchner, o per e-mail: [email protected] oppure per telefono: 0054114114’9595; oppure attraverso richieste all’e-mail: [email protected], nel frattempo andando a leggere l’intera questione sul sito 
http://www.mrecic.gov.ar/.

Scarsa reazione in Italia.
Nè a livello mediatico nè politico.

Ma sono intervenuti abili soggetti politici, in testa Vladimir Putin, il quale in data 10 luglio 2014 si è conquistato l’intero continente sudamericano -uno stratega davvero geniale- con due manovre: 

– ha azzerato l’intero debito dell’isola di Cuba, ha dimezzato il debito di Cile, Uruguay e Bolivia con il Fondo Monetario Internazionale pagandolo in oro e 

– si è posto come garante a nome dell’Argentina versando l’equivalente in tonnellate d’oro; 

il che, tradotto, vuol dire che adesso il giudice di New York se le deve vedere “direttamente” con Vladimir Putin perché il leader russo risulta legalmente “garante personale”. Bella rogna per Barack Obama.

Bella rogna anche per Angela Merkel dato che deve aprirsi i mercati sudamericani per le sue merci, soprattutto BMW e Mercedes per la nuova borghesia emergente, e con un Putin in prima fila in Sud America, l’Europa occidentale finisce in posizione di sudditanza.

L’Italia totalmente assente.
Ha pigolato un vago mugugno della serie “anche noi vorremmo…ci piacerebbe…” ma dal Sud America è arrivata la risposta ufficiale: non riconosciamo come interlocutore attendibile una nazione che ha come ministro dell’economia il boia di Buenos Aires.

E così, i tre più intelligenti soggetti politici internazionali in attività, Vladimir Putin, Angela Merkel e Cristina Kirchner si incontrano per affrontare e risolvere la vicenda, a Brasilia, oggii.

In teoria, e anche formalmente, avrebbe dovuto essere la Repubblica Italiana, in quanto ha la presidenza del semestre, a partecipare a tale riunione. Ma si è suicidata, strada facendo. Nessuno, dentro al governo italiano, a quanto pare ha capito che cosa stesse accadendo. 

La Merkel ne ha approfittato per ottenere un doppio risultato; ha, infatti, risposto: avete ragione, ci vado personalmente come leader tedesca e non a nome dell’Europa o dell’euro. 

Così, sia l’Europa che l’Italia sono state eliminate in una botta sola.

La Kirchner, con questa sua capricciosa mossa ha voluto ricordare con enfasi che per lei le esistenze vengono prima di ogni altra cosa, per questo non va alla cerimonia dei mondiali.

Ci ha aggiunto il carico da undici di un patriottismo maturo “spero che i miei concittadini capiscano che la partita più importante è quella che mi gioco con gli amici Putin e Merkel, anche se il mio cuore batterà per la nostra squadra; il calcio passa, l’economia resta”.

Che vinca il mondiale la squadra più forte, chi se lo merita.
Ma dal mio cuore tifosissimo e fazioso, spero che vinca l’Argentina.

Per regalare una notte di allegria e bagordi a un paese che sta in prima linea, in prima fila, nella lotta globale contro i guerrafondai, contro gli sciacalli della finanza, contro i fondi finanziari speculativi degli avvoltoi, contro il Fondo Monetario Internazionale. 

Un piccolo paese che conta poco, ma che è all’avanguardia del nuovo mondo post-Maya, insieme a Uruguay, Bolivia e Cile.

Stanno combattendo anche per noi.
Per questo si chiama “mondo globale”: 
la lotta di ciascuno riguarda sempre tutti.

Mi auguro che nell’Olimpo del pallone, gli dei sappiano e vogliano illuminare Leo Messi regalandoci delle magie di talento.

Vamos Argentina…….dale dale dale!!!

di Sergio Di Cori Modigliani

Pubblicato da mobertos

La nostra società è dominata da gente folle che persegue scopi malati. Penso che veniamo gestiti da fanatici con obiettivi fanatici, ed è probabile e che sarò io ad essere considerato pazzo per quello che ho deciso di postate qui sul blog "Esci dal Cerchio". E' questa la cosa folle! La frase è di John Lennon che ho adattato. A lui devo il merito di una certa influenza durante la mia gioventù. Da giovane avevo tanta energia e il mondo degli adulti non mi piaceva; entravo sempre in conflitto con chi voleva impormi qualcosa. Perché loro sapevano! Fin da piccolo, avevo capito invece che per imparare dovevo vivere quella cosa in prima persona. Potevano dirmi quello che volevano ma se avevo deciso di farla, la facevo, a tutti i costi. Pensavo che dovevo sperimentare sulla mia pelle le nuove esperienza che mi scoprivo giorno dopo giorno. Come si può capire, apprendere, sbagliare, senza vivere l'esperienza in prima persona? Che forse un uomo non deve mai sbagliare? Da qui la mia innata capacità ad affrontare ogni esperienza anche pericolosa, senza paura, anche al di sopra delle mie reali capacità anche pagando in prima persona. Il rischio mi ha sempre affascinato.