Jobs Act – Controlli a distanza: una delega ancora inattuata

I primi decreti attuativi del Jobs Act non modificano l’art. 4 Legge 300.
L’art. 1, comma 7, lett. f), della L. 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act) stabilisce anche, tra le tante cose già commentate, la “revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”.

Stranamente la delega, sul preciso punto di cui è discussione, non risulta esercitata dal Legislatore dei primi decreti attuativi.

Tale circostanza appare di difficile comprensione, dal momento che l’estensione della legittimazione unilaterale del datore di lavoro all’esercizio del controllo appare come il principale strumento di efficacia del suo potere organizzativo. Il Jobs Act, infatti, intende rafforzare i noti strumenti della flessibilità d’impresa, ed ha per questo minuziosamente disciplinato, nei primi decreti, la fattispecie dei demansionamenti e dei licenziamenti. Il datore di lavoro riesce a trarre piena utilità dalla prestazione di lavoro del suo dipendente solo mediante l’esercizio dei poteri direttivo, disciplinare e di controllo. Per questa ragione, rispetto al potere di controllo, la “modernizzazione” della disciplina lavoristica che il Governo Renzi si prefigge nella legge-delega consiste nel “superamento” dell’art. 4 Legge 300.

Cosa sancisce, in merito, lo Statuto dei Lavoratori che si vorrebbe superare? L’articolo 4, comma 1, stabilisce un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, mentre il comma 2 attenua tale divieto stabilendo che gli impianti e le apparecchiature di controllo “che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” (cosiddetti “controlli preterintenzionali”) possono essere installati soltanto previo accordo con le Rsa/Rsu o, in mancanza, previa autorizzazione della competente DTL.

Il “superamento”, insomma, dovrebbe nelle intenzioni del Legislatore consentire al datore di lavoro di esercitare unilateralmente i controlli, pure in assenza di accordi sindacali o di provvedimenti autorizzativi.

E allora, se questa è l’utilità attesa, qual è mai la ragione di tale ritardo nell’emanazione della nuova disciplina?

Probabilmente, ad avviso di chi scrive, gli intenti del legislatore devono fare i conti con un ostacolo giuridico inatteso o sottostimato. Proviamo a ipotizzare la dimensione di quello che si annuncia come un “nodo gordiano”, che difficilmente sarà risolto (e del che, ovviamente, non ci rammarichiamo).

Il legislatore delegato, per legittimare i controlli unilaterali, dovrebbe infatti normarne anche i limiti (cioè l’area del “lecito”). A tutt’oggi questo problema non esiste, perché il vecchio impianto legislativo (cioè l’attuale art. 4) prevede che sia l’accordo sindacale o il provvedimento autorizzativo della DTL, nell’esercizio di un ruolo “esterno” di riequilibrio del potere datoriale, a garantire il rispetto del diritto del lavoratore. Al contrario, nella logica del Jobs Act tali limiti dovrebbero essere posti direttamente dal legislatore (e non più mediante accordi sindacali). Il problema è che questi “limiti” non potrebbero essere posti dal legislatore in modo totalmente innovativo (e permissivo per il datore di lavoro), in quanto essi appaiono già sufficientemente tracciati dalla legge in materia di Privacy (che non può essere derogata o superata, anche perché rispondente a indirizzi comunitari in materia). Si tratta, insomma di limiti simili a quelli elaborati per il trattamento dei dati personali, per i quali occorre che il datore di lavoro, prima di esercitare le proprie prerogative di controllo unilaterale, acquisisca necessariamente il consenso individuale informato dei lavoratori; inoltre occorrerebbe che il datore di lavoro garantisse il rispetto dei principi di necessità, pertinenza, proporzionalità e non eccedenza dei trattamenti dei dati personali. Il che significherebbe, in pratica, che il datore di lavoro diverrebbe giuridicamente responsabile degli “eccessi” di controllo, potendo essere chiamato a risponderne in giudizio. A catena, tale responsabilità rischierebbe di riverberarsi sulla persona dell’Amministratore della persona giuridica, nella logica della responsabilità organizzativa di cui al D. Lgs. 231/2001.

Insomma: il cambio di passo annunciato dal Governo in materia di controllo a distanza rischia di presentare più insidie che utilità per i datori di lavoro, che in ipotesi potrebbero addirittura risultare avvantaggiati dalla logica tradizionale della disciplina collettivo-legale basata sulle norme inderogabili della Legge 300, anziché dalla più moderna logica individualistico-libertaria della “privacy”, cui appare ispirato il Jobs Act.

La Giurisprudenza, negli ultimi dieci anni, ha peraltro già ampliato enormemente l’ambito di legittimità dei controlli a distanza, distinguendo i controlli (vietati) sull’attività dei lavoratori, dai “controlli difensivi” (ammessi), che hanno ad oggetto non già l’espletamento diligente, esatto e fedele della prestazione di lavoro, ma la commissione e prevenzione di illeciti estranei all’oggetto della prestazione lavorativa. Anche recentissimamente, con la sentenza n. 3122 depositata il 17 febbraio 2015, la Cassazione è nuovamente intervenuta sull’utilizzo in giudizio delle prove acquisite mediante strumenti di controllo a distanza diretti a verificare le condotte illecite dei dipendenti, confermando l’orientamento consolidato. Nel caso in esame, aveva confermato il licenziamento per giusta causa di tre lavoratori, per aver compiuto operazioni fraudolente: la società datrice di lavoro era venuta a conoscenza delle condotte dei dipendenti tramite la visione di un filmato che era stato registrato dalla Guardia di finanza.

In pratica, si può dire che le procedure autorizzative richieste per l’adeguamento degli impianti tecnologici già oggi si riducono quasi sempre a mere formalità.

Eppure, la legge-delega ha inteso fare di più. L’evoluzione della tecnica richiede un aggiornamento della nozione di “altre apparecchiature di controllo”: PC, smartphone, palmari, e-mail, browser di internet, badge sono “strumenti di lavoro” anziché strumenti di controllo. E dunque soggetti non più all’art. 4, ma alla legge sulla Privacy e agli interventi del Garante della Privacy.

Ma in tal caso i vincoli (e le responsabilità) per il datore di lavoro, imposti per legge a tutela delle esigenze delle persone dei lavoratori, rischiano di essere ben più stringenti e dunque fastidiosamente costrittivi per la libertà d’impresa.

Che il ritardo del legislatore del Jobs Act sui controlli a distanza sia allora segno di un ripensamento o, per meglio dire, di una silenziosa battuta in ritirata?

Domenico Iodice
(http://www.Fiba.it)

FIBA CISL
via Modena 5, 00184 Roma
telefono: +39 06 4746351, fax: +39 06 4746136, email: [email protected]

       

Pubblicato da mobertos

La nostra società è dominata da gente folle che persegue scopi malati. Penso che veniamo gestiti da fanatici con obiettivi fanatici, ed è probabile e che sarò io ad essere considerato pazzo per quello che ho deciso di postate qui sul blog "Esci dal Cerchio". E' questa la cosa folle! La frase è di John Lennon che ho adattato. A lui devo il merito di una certa influenza durante la mia gioventù. Da giovane avevo tanta energia e il mondo degli adulti non mi piaceva; entravo sempre in conflitto con chi voleva impormi qualcosa. Perché loro sapevano! Fin da piccolo, avevo capito invece che per imparare dovevo vivere quella cosa in prima persona. Potevano dirmi quello che volevano ma se avevo deciso di farla, la facevo, a tutti i costi. Pensavo che dovevo sperimentare sulla mia pelle le nuove esperienza che mi scoprivo giorno dopo giorno. Come si può capire, apprendere, sbagliare, senza vivere l'esperienza in prima persona? Che forse un uomo non deve mai sbagliare? Da qui la mia innata capacità ad affrontare ogni esperienza anche pericolosa, senza paura, anche al di sopra delle mie reali capacità anche pagando in prima persona. Il rischio mi ha sempre affascinato.